La Rivista

Racconta degli artisti, scrittori, poeti chiamati da Adriano ad aggiungere umanità e bellezza alla sua “ fabbrica di bene ”. Racconta dei profitti de- stinati non ai conti in Svizzera, ma al benessere degli operai, della Co- munità. Luoghi di lavoro luminosi, mense aziendali accoglienti, stipen- di al di sopra della media, nove mesi di maternità retribuita, assistenza sanitaria, contributi per le abitazioni. Un’attenzione costante alla crescita personale e culturale dei dipendenti, con biblioteche e zone di lettura, ricreazione, sport. Il tutto in spazi di grande qualità, progettati da alcuni dei migliori architetti del tempo. È l’idea di Comunità, fondamento del pensiero e della pratica di Olivetti, che avrebbe dato il nome anche alla casa editrice da lui fondata. La fabbrica che dona equilibrio al territorio Quanta distanza dai modelli nel frattempo affermatisi altrove, alla Fiat come nel nord Italia e in tutto il mondo industrializzato. Fosse vissu- to ad Ivrea, a Celentano non sarebbe mai venuto in mente di scrivere Un albero di trenta piani . Perchè il “ cielo colorato di nero che odora di morte ”, qui, non l’hanno mai visto. Anche la fuga dalle campagne e l’urbaniz- zazione forzata furono prevenuti ed evitati. Se altrove ci furono sradica- mento e sofferenza, qui – come scri- ve Marco Peroni nella sua bella gui- da all’Ivrea olivettiana – “ la fabbrica fu concepita come uno strumento di riforma della società, e seminò equi- librio nel territorio circostante ”. Si può immaginare che idea avesse- ro, dell’esperienza Olivetti, gli am- bienti della grande industria e della finanza di quegli anni, minacciati dalla possibilità di un mondo diver- so in cui il denaro ha valore solo in funzione del benessere collettivo. In tanti ancora oggi coltivano il dubbio che qualcosa di poco chiaro sia successo, il 27 febbraio 1960, su quel treno per la Svizzera da cui Adriano non sarebbe sceso vivo. So- prattutto pensando che pochi mesi dopo morirà, in un incidente, anche il più geniale dei suoi collaboratori, l’ingegnere di origine cinese Mario Tchou. Protagonista del passaggio dell’azienda dalla meccanica all’elet- tronica, è a lui che si deve il progetto dell’Elea 9003, il primo calcolatore al mondo completamente a transistor. Erano gli anni di Enrico Mattei, d’al- tra parte: e adesso sappiamo che fine ha fatto. Tempi duri per i visionari. La sconfitta di un grande esperimento sociale Dopo la morte di Adriano, una cordata di banche e imprenditori si prestò a mantenere in vita l’azienda. Ma ad una condizione: la Olivetti doveva vendere il comparto elettro- nico e abbandonare quel mercato. Si disse più tardi che ad imporre quella condizione erano stati gli USA, attra- verso l’ambasciatrice a Roma Clare Boothe Luce. In breve, tagliando corto (ed è un peccato) sui mille aspetti di straordi- nario interesse della vicenda Olivet- ti: a Ivrea nacque un modello sociale e politico, la Comunità, che rappre- sentava la sintesi e il superamento delle due grandi ideologie in quegli anni ferocemente contrapposte, capitalismo e comunismo. Quel mo- dello aveva dimostrato di poter fun- zionare, ma fu vittima del suo essere in anticipo sui tempi. “ Io ho l’impres- sione – scriveva d’altronde Adriano già nel 1951 – che noi siamo troppo avanti con la teoria rispetto al nostro Paese ”. Non era invece troppo avanti la sua azienda, nell’aver compreso che il futuro andava nella direzione dell’informatica. Ma, come abbiamo visto, il marchio Olivetti fu costretto a cedere la leadership mondiale che Il rosa dei ciliegi in fiore annuncia la primavera sulla passeggiata del lungo Dora di Corso Umberto I Studenti in visita guidata al Laboratorio- Museo Tecnologic@mente, dedicato alla storia industriale della Olivetti. La Rivista · Marzo 2022 53

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