La Rivista

Arrivo a Ivrea, la romana Eporedia, in un pomeriggio nuvoloso di metà marzo. Anche quest’anno il celebre Carnevale – per molti, simbolo della città – è stato mestamente annullato. Non sono arrivate le centomila perso- ne che per tre giorni si radunano nel- le piazze cittadine per assistere alla violentissima battaglia delle arance, singolare messa in scena di uno scontro di classe, eco di un passato di guerre e sommosse: gli aranceri a terra, ovvero il popolo in rivolta, pren- dono di mira le guardie del tiranno che sfilano sui carri, e che a loro volta rispondono per le rime. Se ne ripar- lerà nel 2023; o così si spera. Una vera capitale del libro Il grigio del cielo si riverbera sul- le strade del centro: pochi passanti, negozi vuoti, un’atmosfera vaga- mente desolata. Sarà la coda della pandemia da cui non riusciamo a liberarci, o forse l’eco della guerra alle porte d’Europa. “ Fatto sta che non mi era mai capitato di passare giornate intere così, senza veder en- trare un cliente ”, mi conferma Italo Cossavella, che con la sua libreria è una vera e propria istituzione citta- dina. Dopo una vicenda imprendito- riale tra alti e bassi, qualche anno fa ha deciso che non aveva più voglia di seguire le follie di un mercato li- brario che pubblica oltre 230 titoli al giorno. “ Adesso vendo solo i libri che mi piacciono ”, dice. La sua libreria è in via Arduino, a due passi dalla centralissima piazza Nazionale. Un paradiso per i bibliofili: i pochi titoli nuovi selezionati con cura quasi si perdono fra le migliaia di volu- mi fuori commercio, suddivisi per tema e accuratamente catalogati. Le chicche non si contano. “ Ivrea non è mai stata così in crisi ”, mi dice, forse accentuando una certa vocazione all’iperbole che deve avergli fruttato un numero di “nemici” pari almeno ai tanti amici che continuano ad apparire sulla porta della libreria, o a chiamarlo al telefono. “ Eppure avremmo risorse immense per pro- porre del turismo culturale ”, aggiun- ge, elencando i nomi illustri della cultura italiana che d’estate passa- vano la villeggiatura nel Canavese: Verga, Pirandello, Fogazzaro. Intanto – a proposito di chicche – mi mostra una raccolta rilegata de La lettura, inserto del Corriere della Sera ai pri- mi del 900. “ Luigi Albertini, direttore del Corriere in quegli anni, abitava qui; e di Montalto era Salvator Gotta, che raccontò il Canavese prima di Olivetti ”. “La strada più bella del mondo” “Prima di Olivetti”, da queste parti, è un’altra era geologica. Forse mai nessun luogo è stato impre- gnato così profondamente da una singola vicenda industriale come è accaduto a Ivrea con la Olivetti. E in particolare con Adriano, l’ingegnere umanista “mistico e visionario” che, rilevata nel 1927 dal padre Camillo la fabbrica di macchine per scrivere fondata ai primi del secolo, diede il via a un’avventura imprenditoriale unica al mondo. Per capire cos’è stato Olivetti biso- gna essere sul posto, in quella via Jervis, di fronte alla vecchia sta- zione ferroviaria, che Le Corbusier definì “ la strada più bella del mondo ” per la grazia degli edifici che, am- pliamento dopo ampliamento, nei decenni centrali del secolo scorso furono il baricentro dell’attività Oli- vetti. Ci vado la mattina successiva. C’è un sole tiepido e accogliente. Oltre la vecchia fabbrica di mattoni rossi, primo nucleo dell’insediamento in- dustriale, mi imbatto in un gruppo di studenti in visita. Avranno sedici anni o poco più, arrivano da Mila- no. A guidarli c’è Claudio Bovo, che, microfono e altoparlante a seguito, intreccia la storia aziendale con i suoi ricordi d’infanzia: le estati indi- menticabili trascorse nella colonia Olivetti con gli altri figli dei dipen- denti; lo stupore e l’invidia dei bam- bini delle colonie Fiat, che in con- fronto erano campi di rieducazione. Edificato nella seconda metà del Trecento nel punto più alto della città su iniziativa del “conte verde” Amedeo VI di Savoia, il “castello dalle rosse torri” ha ospitato per due secoli, fino al 1971, il carcere di Ivrea. La Rivista · Marzo 2022 52

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