La Rivista
zato da una valutazione positiva del- la relazione con figure di riferimento in ambito privato e pubblico, con istituzioni e organizzazioni e persino con certe cose. Senza dimenticare il tipo di rapporto più o meno intriso di fiducia, appunto, che si può avere con sé stessi. Tale sentimento riposa su rasserenanti atteggiamenti di sicurezza e tranquillità di poter fare affidamento e di non correre rischi di essere ingannati. Nella vita si comincia presto a tesse- re la tela della fiducia o, al contrario, della sfiducia. Il bebè quando nasce è capace di fare molte cose vitali quali respirare, succhiare, strillare, ecc… ma non sa nulla del mondo che lo circonda; soprattutto non sa se il l’ambiente in cui è atterrato e dal qua- le dipende la sua sopravvivenza sia degno o no di fiducia. Inizia però ben presto a farsene un’idea attraverso la qualità dei contatti con chi si prende cura di lui. È così che sviluppa nei confronti di tali persone di riferimen- to una prima sensazione di fiducia più o meno solida, a seconda che esse siano capaci o meno di sovvenire ai suoi bisogni fisici e psichici. Un grande psichiatra e psicanalista, John Bowlby, parla a questo pro- posito di modelli attaccamento. A titolo di esempio ne cito due. Da un lato, abbiamo un attaccamento detto sicuro quando il genitore trasmette fiducia al bambino mostrando di saper accogliere e disintossicare i suoi disagi emotivi e i suoi mo- menti di stress. E questo non sol- tanto mediante cure appropriate, ma altresì con rassicuranti forme comunicative di contatto fisico e di protolinguaggio. Il “cucciolo” capisce così attraverso l’esperienza che il mondo è fatto di figure che sanno rispondere adeguatamente ai suoi bisogni. Tale fiducia primaria gli permette per giunta di sopportare gli eventuali momenti di temporanea separazione dal genitore accudente. Quando succede, tali momenti non si trasformano in tragedia. Dopo i normali pianti iniziali di protesta, il bambino si calmerà e accoglierà poi con espressioni di gioia il ritorno della sua figura preferita! Al contrario, si sono osservate for- me di attaccamento insicuro ed evitante quando i piccoli non hanno potuto contare su sufficienti cure, attenzioni e disponibilità psicologi- che da parte dell’adulto. Nel caso di eventuali separazioni dalla figura di riferimento, l’attaccamento insicuro produce in essi una reazione di ap- parente indifferenza, che si protrae anche dopo il ritorno del genitore. In sostanza, il bambino serba un ine- spresso rancore, indizio precoce di insufficiente fiducia. Secondo l’autore citato questa pri- ma matrice, sicura o insicura, avrà un’influenza rilevante sulla qualità delle principali relazioni future. La fiducia non è un tratto di carattere innato, bensì è figlia delle esperienze maturate lungo l’intero arco della vita. Queste possono confermare la matrice infantile oppure modificarla, in meglio o in peggio. È così che nel corso degli anni, durante il naturale processo di costruzione della perso- nalità, il cervello dell’essere umano in continua evoluzione suggerirà al soggetto di volta in volta se fare fiducia a questo o quell’insegnante, a questo o quell’amico o amica, alle persone di cui si innamora, alle isti- tuzioni, e in fondo anche a sé stesso. Uno dei compiti più impegnativi per la sua mente sarà trovare un “giusto” equilibrio tra due poli: da un lato, la diffidenza e la sfiducia nei confronti di tutto e tutti, come Pinco Pallino; dall’altro la trappola della fiducia Nella vita si comincia presto a tessere la tela della fiducia. La Rivista · Marzo 2022 25
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