La Rivista

Spettacolo nello spettacolo E proprio verso la Biennale mi dirigo il mattino dopo. Me la prendo comoda: i Giardini, baricentro della rassegna e sede dei padiglioni nazio- nali, aprono solo alle 11. Una piccola deviazione mi porta in via Garibaldi, forse la strada più ampia della città, dove per molti la colazione da Majer è un’abitudine, e ti tocca fare un po’ di fila in cambio del piacere di un cappuccino e una brioche preparati con ingredienti di qualità. C’è ancora più gente del solito, i tavolini sono tutti occupati, e uno degli avventori mi invita con un gesto al suo tavolo. È un artista, aspetta anche lui che sia l’ora di entrare. Ha vissuto a lun- go a New York, e mostra vent’anni di meno dei suoi quasi novanta. Men- tre Keith Haring riempiva la metro dei suoi graffiti, lui si era conquistato una certa fama con le sue perfor- mance acrobatiche e le sue sculture di fuoco. Fra una chiacchiera e l’altra, mentre i piccioni prendono d’assalto il tavolo cercando briciole fra tazze e piattini, tira fuori dalla borsa un suo catalogo: “ lo mostro all’ingresso, così magari mi fanno lo sconto ”, dice. A Venezia la gente è spettacolo nello spettacolo. In giro per la città incontri tutti: backpackers sudati e giovanissime influencer alla ricerca dell’inquadratura giusta per i loro post su Instagram o per i video su Tiktok; americanone allegramente impermeabili a qualsiasi accenno di body shaming e sposi dai tratti orientali in doppiopetto bianco pan- na e abito lungo. Con il caldo e la ressa capita di cedere all’odio per la folla sudata che ti schiaccia da ogni parte; ma poi, inevitabilmente, pre- vale l’amore incondizionato per la varietà del paesaggio antropologico che ti sfila davanti. Passata la fila dell’ingresso, alla Biennale gli spazi si allargano, i tipi umani si fanno ancora più interes- santi. Le giovani visitatrici sono mi- racolosamente indenni dalla dittatu- ra estetica che oggi sembra rendere tutte uguali le ragazze adepte del mainstream, con le loro sopracciglia ben disegnate, il trucco impeccabile, il rossetto senza sbavature: tutto perfetto, tutto tristemente uguale. La cultura fa ancora la differenza, pare. Lo trovo rassicurante. La tela più grande del mondo Quest’anno i temi della Biennale (surrealismo, trans-human, tema- tiche gender…) non sono fra i miei preferiti, e così scelgo di passare più tempo in giro per la città. Fra l’altro potrò finalmente visitare Palazzo Ducale, dove la grandezza e la poten- za dei secoli d’oro della Serenissima sono se possibile ancora più palpa- bili che altrove. Soprattutto quando il lungo percorso fra le decine di ambienti ti porta nel cuore del potere veneziano, i 1300 metri quadri della Sala del Maggior Consiglio, dove troneggia il Paradiso del Tintoretto, la tela più grande del mondo. Una messa in scena larga 25 metri della gerarchia celeste, ma soprattutto un messaggio politico chiarissimo: il Doge e i suoi consiglieri, che si riuniscono in assise sotto il dipinto, rappresentano la replica terrena della perfezione divina. Proprio lì di fianco, nella Sala della Scrutinio, le grandi tele dell’artista contempora- neo Anselm Kiefer contrappongono al paradiso del Tintoretto un inferno visivo che, al di là del richiamo a quel fuoco che nel 1577 devastò la grande sala adiacente, richiama Veduta d’insieme degli edifici di Venezia in un’opera-fotomontaggio di Jean Francois Rausier esposta negli spazi della Fondazione Louis Vuitton La Rivista · Giugno 2022 64

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