La Rivista

in fondo all’isola della Giudecca, e proprio lì di fianco lo stabilimento tessile Fortuny. Meno fiabesca, certo, la contempora- neità, con le sue contraddizioni, gli interrogativi sul domani, le polemi- che. La città svuotata e trasformata in un enorme bed and breakfast . Negli anni scorsi la pandemia ne ha dato una dimostrazione trauma- tica: strade deserte, palazzi chiusi, sestieri abbandonati. E poi, l’assedio dell’acqua alta e la diga del Mose, fi- nalmente funzionante ma dal futuro fortemente problematico, anche solo per i costi di gestione. La vertigine estetica più estrema e la minaccia di traumi insanabili, d’altra parte, a Venezia convivono nella più totale spensieratezza dei visitatori. Come potrebbe essere diversamente? Venezia offre forse l’esperienza visuale e sensoriale più intensa che si possa ricercare nel mondo urbanizzato. Anche se i tu- risti non si fotografano più soltanto con i piccioni di piazza San Marco o al Ponte dei Sospiri, ma davanti a bottigliette di Bellini e Spritz, a gra- nite di caffè e piatti di fritto misto. O, come dappertutto, sullo sfondo delle vetrine di Prada o di Versace. La sostenibilità stessa del turismo di massa a Venezia è uno dei temi più scottanti. Prima della pandemia si è arrivati a calcolare trenta milioni di presenze annue: undici in più di quanto la città sarebbe in grado di reggere. L’Onu e la sua agenzia specializzata nel settore parlano di “ overtourism ”, e Venezia è in cima alla classifica: per ogni abitante in laguna si contano 370 visitatori. Sembrerebbe quasi che sia il peso dei turisti a far sprofondare la città: che va giù ogni anno uno o due mil- limetri. Il fenomeno invece sembra avere cause diverse: c’è chi dice dipenda dai cambiamenti climatici, o dalle gigantesche navi che si af- facciavano in Laguna per offrire un colpo d’occhio fiabesco ai crocieristi (e oggi finalmente bandite). In realtà Venezia sprofonda da sempre: negli ultimi 130 anni il livello del mare sulla città si è innalzato di una tren- tina di centimetri. Chissà se davvero il surriscaldamento e lo scioglimen- to dei ghiacci accelereranno repenti- namente la discesa. Rientrando in albergo a tarda sera, commetto un errore fatale: mi lascio catturare da una gelateria. Che ha un nome banale (“gelati di natura” o qualcosa del genere) ma vedi subito che non si confonde con le decine di altre in città. Al primo boccone, un pistacchio ineguagliabile mi confer- ma la prima impressione. Diventerà un appuntamento fisso per tutto il soggiorno (ahimè.) Il mio hotel è a pochi metri da San Marco: un dignitoso tre stelle con tanto di giardino-terrazza all’interno, di cui apprezzerò particolarmente la tranquillità. Le tariffe sono più che oneste, segno inequivocabile che la richiesta non è ancora altissima. O forse l’aumento massiccio dei posti letto in città sta provocando un calo dei prezzi. Il che è probabile, anche perché ha appena aperto la Biennale d’arte, rinviata lo scorso anno causa Covid, e di gente che arriva ce n’è. Il più classico degli “scatti” veneziani: un selfie davanti al Ponte dei sospiri, che collega Palazzo Ducale alle Prigioni nuove. I sospiri, come è noto, erano quelli dei condannati che dalle sue finestre potevano per l’ultima volta dare un’occhiata al mondo esterno prima di scontare la loro condanna. Il pot-pourri che accompagna inevitabilmente il visitatore lungo i percorsi più battuti della città lagunare: riproduzioni a poco prezzo della celebri maschere del carnevale si mescolano a souvenir di ogni genere sulle bancarelle gestite quasi sempre da venditori cingalesi e indiani. La Rivista Il Belpaese La Rivista · Giugno 2022 63

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